bambinofelice
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Io ho iniziato a raccogliere testimonianze di madri surrogate lo scorso anno. Perché da sempre mi interessa l’argomento e perché ne sto facendo un libro in uscita fra pochi mesi. A Kiev ho incontrato Natasha, madre di un figlio di nove anni e portatrice per tre volte di figli per altri. Non ho visto schiavitù, non ho visto costrizione, non ho visto tristezza. Anzi. Tanta consapevolezza, tanta serenità e tanta voglia di donare a chi lo desiderava da anni un figlio che, naturalmente, non era mai arrivato. Stessa consapevolezza e stessa voglia di partorire un figlio per altri anche nelle statunitensi. Esistono numerosi blog e pagine sui social network in cui si scambiano consigli, si sostengono, si incitano a vicenda e condividono esperienze che, a detta loro, sono indimenticabili. E quando chiedi se c’è qualcuna che ti vuol raccontare la sua storia e il perché lo fa, arrivano decine di risposte via mail: «I would love to tell u my story». Scopri che sono tutte già madri, di regola di due o tre figli loro, contente di poter aiutare coppie con difficoltà ad allargare famiglia perché «i miei figli sono la gioia più grande della mia vita. Perché non dovrei aiutare qualcuno ad averla, questa gioia?». Poi ci sono le sorelle che si aiutano a vicenda, o le madri che si prestano per figlie malate. O le amiche, che si mettono a disposizione. Delle testimonianze raccolte, solo un venti per cento riguarda coppie omosessuali. Gran parte delle persone che ricorrono alla surrogata sono coppie etero in cui la donna non può portare a termine la gravidanza. Donne nate senza utero, donne alle quali è stato tolto per una grave malattia, donne uscite dalla chemioterapia, donne che hanno avuto parti drammatici in cui, oltre ad aver perso il figlio alla nascita, hanno subito l’asportazione dell’utero, donne sieropositive, donne con malformazioni genitali. Io per onestà intellettuale ho sempre avuto la necessità di capire un argomento, una questione, senza giudicare. Per questo più che sedermi nei salotti a discutere su chi abbia torto o ragione e ascoltare le posizioni teoriche delle diverse parti, ho preferito andare direttamente a parlare con le interessate. Sono sinceramente stupita su come si stia compiendo un tentativo di ragionamento che, secondo me, sta facendo solo danni al concetto di maternità e di libertà di scelta. Elisabeth Badinter diceva che essere madri non è innato e non c’è nulla di naturale nell’esserlo. La nozione di amore materno è evolutiva perché, dice la filosofa, «è soltanto un sentimento. E come tutti i sentimenti è incerto, fragile e imperfetto. Può esistere o non esistere, esserci o sparire. Non va dato per scontato». Ancora oggi invece paghiamo il binomio della donna-madre. Se una donna non hai figli, non è completa e non può capire cosa voglia dire veramente amare. Se dice che è stata una libera scelta, mente: «avrà avuto sicuramente qualche problema, figurati se una sceglie di non aver figli». E di cosa sto parlando lo sappiamo bene tutte. A sedici anni tutti ti chiedono quando ti trovi il fidanzato. Quando hai il fidanzato, iniziano le domande su quando ti sposi. Quando sei sposata, quand’è che fai un figlio… e se un figlio non arriva, spesso è un dramma. Molto spesso, non per la coppia, ma per chi le sta attorno. E quindi un figlio deve arrivare, anche a tutti i costi. È ancora molto diffuso il mito della maternità come unica realizzazione dell’essere donna e del rapporto speciale tra madre e figlio, fin dalla pancia. Certo, per qualcuna sarà stato sicuramente così. Ma la presunzione che lo sia per tutte è inaccettabile. Credo sarebbe molto più utile tornare a discutere perché la donna valga indipendentemente dall’essere o non essere madre, dall’avere o non avere figli, dall’utilizzare o meno il proprio utero. Altrimenti, anche in questa battaglia, credo che a rimetterci sarà ancora una volta la nostra libertà.
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