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Screening e diagnostica prenatale

Miobambino, 11.8.2010
I test di screening prenatale e gli esami diagnostici in gravidanza servono a individuare possibili malformazioni o malattie ereditarie nel nascituro

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La quasi totalità dei bambini nasce sano, ma circa 3 bambini su 100 presentano alla nascita delle malformazioni o delle malattie ereditarie.

Alcune di queste possono essere individuate prima della nascita attraverso specifiche indagini chiamate esami diagnostici prenatali, mentre altre possono essere diagnosticate solo dopo la nascita.

Questo significa che, nonostante i progressi della tecnologia, non tutte le patologie sono oggi prevenibili o diagnosticabili precocemente.

Prima della nascita possono essere ricercate solo alcune malattie dovute ai difetti dei cromosomi (corpuscoli che all’interno delle cellule trasmettono l’informazione genetica proveniente per metà dalla mamma e per l’altra metà dal papà biologico), ad esempio la sindrome di Down.

 

Gli esami diagnostici, previsti prima della nascita, per identificare la sindrome di Down (presenza di tre cromosomi 21 invece di due) e altre eventuali rare malattie cromosomiche sono esami invasivi perché devono penetrare all’interno dell’utero per prelevare liquido amniotico o tessuto della placenta (per poter esaminare i cromosomi delle cellule) e possono perciò compromettere in un caso su cento l’evoluzione della gravidanza provocando un aborto spontaneo.

 

Si rende pertanto necessario selezionare e sottoporre agli esami diagnostici prenatali il minor numero possibile di donne, solo quelle che vengono individuate mediante i test di screening come soggette ad un livello di rischio maggiore.

 I test di screening e l’età sono i criteri in base ai quali si selezionano le donne che devono eseguire gli esami diagnostici invasivi.

 

 

Il percorso dallo screening alla diagnosi prenatale comporta tre passaggi:

  1. Calcolo del livello di rischio personalizzato per ogni donna: test di screening

  2. Se il test di screening ha fornito un valore di rischio aumentato viene eseguito l’esame diagnostico

  3. Esaminato il risultato dell’esame diagnostico, la donna sceglie se portare a termine o meno la gravidanza

I limiti e le opportunità di tutti e tre i passaggi devono essere ben chiari alla donna. Richiedono pertanto un colloquio approfondito con gli operatori per scegliere se aderire al percorso diagnostico prenatale o accettare il corso naturale degli eventi.

 

 

I test di screening prenatale

Il calcolo del rischio “personalizzato” di sindrome di Down e delle altre rare malattie cromosomiche è effettuato sulla base di un esame ecografico e di dosaggi, nel sangue della mamma, di alcune sostanze prodotte dal feto e dalla placenta.

Tali esami permettono una maggiore accuratezza nel calcolo del rischio a partire da quello legato all’età materna (più la mamma è avanti negli anni maggiore è il rischio di avere un figlio con sindrome di Down).

Il risultato dei test di screening esprime quanto rischio ha la donna di avere un bambino con malattia cromosomica, sul totale delle donne con le sue stesse caratteristiche.

Il risultato si dice negativo o con basso rischio quando il rischio è molto basso; positivo o con rischio aumentato quando il rischio è al di sopra di un certo valore-soglia: in questo caso il percorso prevede l’offerta degli esami diagnostici (descritti più avanti) e la donna può scegliere se accedervi o meno.

I test di screening vengono eseguiti sul sangue materno e con ecografia e sono offerti a tutte le donne in gravidanza.

 


Quelli oggi disponibili sono:

 

  • La translucenza nucale

Misura attraverso un’ecografia eseguita tra le 11 e le 13 settimane di gravidanza, lo spessore del tessuto retronucale del feto; l’esito dell’esame è immediato. La translucenza nucale (fig. pag. 98), oltre a indicare un rischio aumentato per le malattie cromosomiche, può evidenziare anche un rischio aumentato per alcune malformazioni scheletriche e cardiache.

 

  • Il test combinato

Abbina alla translucenza nucale un esame del sangue. Si esegue tra le 11 e le 13 settimane di gravidanza e dà un calcolo del rischio più attendibile del precedente. Il vantaggio di questo test è che, nei casi positivi, consente di effettuare in un’età gestazionale precoce, l’esame diagnostico con il prelievo dei villi coriali (dettagli più avanti).

 

  • Il test integrato

Aggiunge ai dati rilevati dal test combinato, altri dati che richiedono un ulteriore esame del sangue da eseguire tra le 15 e le 17 settimane di gravidanza. L’aggiunta di questi dati migliora la precisione dei risultati e consente inoltre la valutazione del rischio di una malformazione della colonna vertebrale (spina bifida).

 

  • Il test integrato sierico

Comprende la datazione ecografica della gravidanza, un primo prelievo di sangue materno a 11-13 settimane cui si aggiunge il tri test a 15-16 settimane.

 

  • Il Tri test (o triplo test)

Permette, con un prelievo di sangue, la valutazione del rischio fino a 20 settimane di gravidanza. Tale valutazione è meno precisa, ma ancora eseguibile anche per chi non si è presentata in tempi utili per i test più accurati illustrati precedentemente.

 

 

I test di screening non comportano il minimo rischio per la salute della donna e del bambino poiché non sono invasivi, cioè per eseguire il test non vengono utilizzati componenti che si trovano all’interno dell’utero a diretto contatto con il bambino (liquido amniotico, placenta).

Le donne con rischio calcolato basso sono più del 90%: esse non avranno bisogno di esami diagnostici invasivi. Alle altre, quelle con rischio aumentato, viene proposto l’esame diagnostico invasivo.

 

La quota di donne classificate ad alto rischio dipende dal tipo di test utilizzato: più è ricco di dati il test utilizzato (test integrato) più è accurato il calcolo e di conseguenza più piccolo è il gruppo classificato ad alto rischio.

 

I test di screening prenatale si limitano a segnalare un possibile “rischio di avere un figlio con

malformazioni”. Tale risposta non è mai una diagnosi, quindi:


  • un risultato di “rischio aumentato” non significa che è presente la malattia, ma solo che c’è qualche sospetto: su 40-50 donne che, avendo avuto un risultato allo screening di rischio aumentato, eseguono l’esame diagnostico, solo una risulterà avere un feto malato. Questo significa che la maggioranza dei test di screening positivi sono in realtà, fortunatamente, dei “falsi positivi” e questo accade perché alcune particolari situazioni transitorie del metabolismo feto-placentare possono alterare i dosaggi nel sangue materno.

  • un risultato di “basso rischio” non potrà mai escludere del tutto la presenza di una malattia cromosomica, anche se tale probabilità è molto remota. Quando si verifica la nascita di un feto con sindrome di Down da una donna con test di screening negativo si dice che il risultato del test è un “falso negativo”; per fortuna questo avviene solo per una donna ogni 3.500-4.000 che hanno avuto un esito negativo del test di screening. Questo può accadere perché, talvolta, un feto pur essendo malato presenta un metabolismo del tutto sovrapponibile a quello dei feti normali.

 

 

Gli esami diagnostici

Gli esami diagnostici sono offerti alle donne che hanno un rischio aumentato come risultato del

test di screening. Le donne con più di 35 anni all’epoca del concepimento possono scegliere se eseguire il test di screening o richiedere direttamente l’esame diagnostico. Si tiene conto dell’età materna perché il rischio che si verifichino queste anomalie cromosomiche aumenta con l’età.

I test diagnostici sono esami invasivi, cioè utilizzano componenti che sono all’interno dell’utero (liquido amniotico o placenta). Sulle cellule prelevate vengono controllati i cromosomi. Il risultato dell’esame è una diagnosi che esprime in modo certo se il bambino è affetto o non affetto da sindrome di Down o da altre rare malattie cromosomiche.

 

Gli esami diagnostici oggi disponibili sono:

 

  • Il prelievo dei villi coriali

Consiste nel prelevare materiale placentare attraverso l’addome materno (in rari casi può essere eseguito attraverso il collo dell’utero). Il prelievo è praticabile a partire da 10 settimane di gravidanza (se eseguito prima può aumentare il rischio di aborto).

 

  • L’amniocentesi

Consiste nel prelevare un campione di liquido amniotico attraverso l’addome materno. Il prelievo viene eseguito in genere tra le 15 e le 17 settimane di gravidanza. Oltre ad essere utile per determinare il patrimonio cromosomico fetale, può servire anche per dosare la concentrazione della alfa-fetoproteina per la diagnosi delle anomalie del tubo neurale (spina bifida).

 

La caratteristica degli esami diagnostici è la certezza della diagnosi di assenza o presenza della patologia. Va però tenuto presente che essendo esami invasivi possono provocare, nell’1% dei casi, un aborto spontaneo e quindi possono rappresentare un rischio per il proseguimento della gravidanza.

 

L’esecuzione dei test diagnostici classici (l’analisi del cariotipo, detto anche mappa cromosomica) richiede un tempo tecnico minimo di 14 giorni. In alternativa la possibilità di avere un risultato più

tempestivo (test rapido = risultato entro 24 ore) limita l’analisi alle anomalie cromosomiche più frequenti (dei cromosomi 21, 13, 18).

Questi esami vengono praticati ambulatoriamente e non richiedono il ricovero in ospedale, ma poiché è meglio eseguirli in servizi che ne pratichino ogni anno un numero sufficiente a mantenere una adeguata qualità può darsi che ci si debba rivolgere a ospedali non vicini a casa.

 

Per la maggior parte delle malformazioni/malattie attualmente diagnosticabili con il percorso di screening/diagnosi prenatale non sono disponibili terapie in utero, pertanto la donna, una volta conosciuta la situazione, potrà valutare con un ginecologo di ospedale se è possibile l’interruzione tardiva della gravidanza.


Dopo il novantesimo giorno dall’ultima mestruazione (limite di legge per l’interruzione volontaria di gravidanza) la legge prevede che la gravidanza possa essere interrotta in casi particolari, con certificazione medica:

  • quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna;

  • quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna.


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